L’avvento delle nuove Nike Vaporfly 4% ha cambiato ineluttabilmente il modo di vedere la corsa di distanza degli ultimi anni. Tutti le vogliono, pochi le trovano, qualcuno le piglia.
Record o tentativi di record si sono avvicendati, creando attenzione e stupore intorno a questa scarpa che promette miracoli anche per quelli più pionzi, pare infatti che paradossalmente migliorino di più gli atleti non di élite, in proporzione.

4% sta per riduzione dei costi metabolici, e in una gara di endurance si capisce subito, da addetti ai lavori, quali siano gli evidenti benefici di tale risparmio. Eppure, probabilmente, in questi ultimi anni non sono stati sufficientemente illuminati altri aspetti, di natura più prettamente biomeccanica, che invece risultano a mio avviso degni di attenzione. Cerchiamo di esplodere in questa sede, una serie di criticità importanti, che prima o poi dovranno essere prese in considerazione.

Performance

Per prima cosa l’aspetto del marketing: Nike ha deciso di puntare sul 4%, sull’enfatizzazione della riduzione dei costi metabolici. Una soluzione strategica, ma a prima vista contorta, dovendo, in questo modo, ricorrere alla necessità di spiegazioni divulgative circa l’importanza di tale risparmio. Perché dico strategica? Perché la chiave del problema, o se vogliamo, l’elemento più efficace da evidenziare strategicamente, avrebbe potuto essere quello del crudo miglioramento della performance. La Nike poteva andare direttamente al fine, sottolineando che la tecnologia della sua mescola per l’intersuola è una vera e propria molla. Una bomba impareggiabile nell’universo delle scarpe da corsa attuali.

Nike sviluppa con la schiuma ZoomX un capolavoro di genetica dei materiali, una schiuma ammortizzante ma al tempo stesso estremamente reattiva, la più reattiva.  Nike inventa una scarpa che rimbalza, e concretizza sostanzialmente un vantaggio tecnologico quasi eccessivo rispetto alla concorrenza.

Per quali runners?

Mirare il nostro occhio di bue sull’intersuola di questa scarpa, ci impone una serie di argomentazioni di natura biomeccanica circa la sua efficacia su soggetti dalle diverse caratteristiche: Chi può veramente beneficiare di questa tecnologia, chi può farlo con maggior vantaggio?

Al momento Vaporfly 4% è l’ammiraglia che prova a frollare i record del mondo, colei che porta il manifesto del baffo a livello globale, che tira il mercato delle cugine baffute sì, ma più neglette, dalle forme simili, ma di madre ignota, o dimenticata.  La madre dell’intersuola reattiva, un’EVA (ethylene-vinyl acetate) primordiale, lenta e ormai superata dalle discendenti figlie, che vendono bene ma promettono poco.

Ma cerchiamo di capire meglio le variabili in campo: diverse velocità di crociera, di peso, di appoggio podalico e dei suoi tempi, lunghezza di falcata,  tuning muscolare, geometrie articolari, superfici d’appoggio, e diversi portafogli.
Approfondirò questi concetti probabilmente in altra sede, il problema è molto interessante ma a livello scientifico le risposte non sono ancora soddisfacenti.  Voglio, però, sin d’ora, darvi alcune risposte.
Indubbiamente non è una scarpa per atleti lenti, ma a 14 km/h  e a 18 km/h la percentuale di risparmio metabolico risultava la stessa.

Non è una scarpa per runner pesanti, nè per iperpronatori, la scarpa è spessa nell’intersuola, ma la sua schiuma è particolarmente espansa, qundi morbida, poco resistente, di ridotta stabilità sul piano frontale. La già limitata durata dell’intersuola in termini di risposta soffrirebbe ulteriormente di un’incapacità di resistere ai carichi  d’appoggio mediale, crollerebbe, creando un binario dinamico in valgo.

Date le sue caratteristiche di schiuma molto espansa, la durata è estremamente ridotta, per cui si presta all’uso in gara o qualche allenamento di qualità, se non si è dei professionisti, o dei paperoni. Poi la nostra virtuosa tornerà tristemente ad essere la scarpa di Cenerentola dopo la mezzanotte dei 200-300km percorsi, dipende dal runner.

Le concorrenti

Cosa le ricerche hanno evidenziato rispetto ad altri due modelli di scarpa, come le Adidas Adios Boost Return e le Nike Zoom Streak (esempio di cugina negletta), un tempo di appoggio maggiore, un maggior picco verticale nella forza di reazione, una frequenza di passo minore. Tuttavia, queste variazioni rispetto agli altri modelli erano troppo basse per poter spiegare il risparmio metabolico del 4%.

Da cosa dipende allora?

Il nostro tendine d’achille restituisce da 17 a 35 joule in una corsa a 16km/h, altri legamenti e tendini restituiscono un ulteriore quantità di energia. La Vaporfly restituisce 7,46 joule, il che ci fa pensare che sia comunque molto più basso di quanto restituisce il nostro corpo, eppure, paragonato al ritorno di energia di una Boost di 3,56 joule si capisce l’impatto diverso che tale ritorno di energia determina.

Il costo di questa elasticità quindi è a carico delle nostre strutture, e dei muscoli che attivamente devono contrarsi per sfruttare al massimo questa elasticità tendinea, il che determina comunque un consumo metabolico minore rispetto alle concorrenti. La capacità delle nuove intersuole di essere molto ammortizzanti, ma anche estremamente reattive, ha costituito il fulcrum del problema. L’uso di queste intersuole elastiche, oltre alla suola in carbonio inserita nell’intersuola, riduce l’attivazione muscolare necessaria per attivare la nostra elasticità intrinseca.

Per ottenere questo vantaggio è necessario il giusto equilibrio tra compliance (ammontare di compressione in seguito ad una forza) e resilienza (la quantità di ritorno di energia quando un materiale è deformato), quindi tra ammortizzazione e reattività, che tramite i test meccanici sui materiali dava un ritorno di energia del 87% nelle Vaporfly contro il 75,9% delle Boost e il 65% delle Nike con intersuola in EVA. Questi materiali viscoelastici concedono tutti un gran ritorno di energia, ma le Vaporfly hanno evidentemente uno score diverso rispetto a tutte le altre.

Nella seconda parte dell’articolo parleremo di doping tecnologico, della funzionalità della suola in carbonio, e della possibilità che questa calzatura entri  di diritto sulle piste di atletica, e non solo sull’asfalto delle strade, al posto delle scarpe chiodate.