LE VAPORFLY SONO REGOLAMENTARI?

La Vaporfly ci prepara istantaneamente l’opportunità di ampliare il nostro discorso a speculazioni di altra natura. Quanto e come possiamo cambiare la nostra biomeccanica con un gait retraining, e a quale prezzo, per approfittare dei vantaggi di un’intersuola miracolosa, che ci dà queste risposte, che devono essere finemente regolate con la nostra corsa, alla giusta velocità, nel giusto timing di attivazione muscolare, nella giusta frequenza di vibrazioni? Quanto potrebbe, in un futuro lontano, la Nike, o altre case produttrici, modulare una schiuma customizzata che risponda alle caratteristiche fisiche e biomeccaniche individuali dell’atleta?

La Vaporfly 4% è una scarpa da asfalto, una straordinaria molla, un doping tecnologico ancora in regola, ma fino a quando? Le scarpe a molla sono bandite nelle competizioni, ma una schiuma che funziona effettivamente come molla fino a quando sarà consentita? C’è un limite di risposta elastica accettabile? Quando la IAAF deciderà che queste calzature danno un beneficio eccessivo in termini di risposta elastica? Il risparmio metabolico non è, esso stesso, un vantaggio in termini di performance?

L’ulteriore sviluppo tecnologico potrebbe portare ulteriori incrementi in termine di ritorno di energia, sarà, forse, questo il momento in cui si bandiranno le scarpe con questa reattività. Ricordiamo che tutte le scarpe attuali hanno un ritorno di energia, ma la schiuma delle Vaporfly supera notevolmente le altre tecnologie registrate. Forse per questo Nike ha puntato sul risparmio metabolico in termini di marketing, temendo di attirare troppe attenzioni sul suo vantaggio tecnologico.

LE SUOLE IN CARBONIO

Le altre case produttrici rinunciano alla denuncia di questo squilibrio per non manifestare apertamente il loro evidente ritardo di sviluppo, con una goffa rincorsa alle suole al carbonio, come se fosse questa la soluzione. In realtà, il risparmio dei costi metabolici è dovuto alla schiuma Zoom X e non alla suola in carbonio. Recenti studi definiscono meglio che la suola in fibra di carbonio non ha che un ridotto contributo sull’ energy rebound, sul ritorno elastico dell’intersuola, addirittura un cinquantesimo della quantità di energia sviluppata dalla schiuma in compressione e ritorno, e un 1% di risparmio energetico. (Hoogkamer W, Kipp S, Kram R: The biomechanics of competitive male runners in three marathon racing shoes: a randomized crossover study. Sports Medicine, 2019, 49. Jg., Nr. 1, S. 133-143). Ecco la folle rincorsa degli altri produttori alle suole in carbonio, che si bendano e ci bendano gli occhi, per ridurre il gap tecnologico di un cinquantesimo, ma vendendoti il prodotto ad un prezzo analogo a quello del concorrente. La suola in carbonio incorporata nell’intersuola ha il solo compito di incrementare la rigidità in dorsiflessione dell’articolazione metatarsofalangea, al fine di ridurre la perdita di energia a quel livello articolare, come avviene nelle scarpe da salto o da sprint, ed incrementare la capacità di performance, ma non agisce direttamente né sul ritorno elastico, né sul risparmio metabolico.

IL FUTURO SULLE PISTE DI ATLETICA

Inoltre, una schiuma da 31mm sul retropiede e 21mm sull’avampiede contrasta drammaticamente con le scarpe simil-minimaliste barefoot da pista d’atletica.  Ma il dubbio che ci poniamo attualmente, al netto della capacità intrinseca di ritorno di energia della superficie delle piste, è:

Potrebbe tale tecnologia superare il vantaggio delle reattive flat racing chiodate da pista?

È lontano il momento in cui si vedrà correre sulle nostre piste d’atletica dei mezzofondisti, o perché no, addirittura degli sprinters, con scarpe con intersuola da 3 cm?

Probabilmente sarà questo il punto in cui la comunità scientifica dovrà cominciare a porsi dei problemi sul come gestire, misurare, disciplinare tali vantaggi tecnologici dati dallo sviluppo della tecnologia specifica, così come in altri campi, o discipline sportive. Per il momento avvantaggiamocene nel nostro piccolo.