Scarpa antipronatoria: un termine che mi ha sempre fatto accapponare la pelle. Definisce, per fortuna non frequentemente, quelle scarpe più stabili e strutturate, con diverse caratteristiche di comprimibilità e densità di materiali nella parte mediale dell’intersuola.

Nella classificazione calceologica delle scarpe da running si inseriscono come “Stabili” o “Motion Control” (una volta si chiamavano “A4”), termini – questi – comunque sempre più desueti, in conseguenza dell’ibridazione delle caratteristiche delle stesse. Del resto, risulta quasi antistorico parlare di scarpe antipronatorie, oops! scusate, di scarpe stabili, quando adesso in Italia si parla di minimalismo, peraltro fenomeno già ampiamente metabolizzato e limitato negli USA e che abbiamo già affrontato in articoli precedenti.

La prima cosa da sottolineare riguarda necessariamente la sua erronea, ma talvolta abusata, definizione: antipronatoria. Allora, chiariamo il concetto che riguarda la pronazione come elemento necessario della deambulazione e della corsa, termine nient’affatto aberrante, sebbene ormai sede di connotazioni estremamente negative, nell’ambito del running.

Cos’è la pronazione?

Per pronazione s’intende quel movimento fisiologico, e sottolineo il concetto di “fisiologico”, di rotazione del piede verso l’interno sul piano frontale.

Il nostro piede deve pronare, è necessario che lo faccia, perché questo determina uno degli aspetti fondamentali del movimento: l’assorbimento dell’impatto a terra. Il piede deve sviluppare delle linee di carico in movimento, spostando costantemente i punti dello stesso e agendo come un ventaglio, un adattatore mobile alla superficie del terreno, per poi far sì che le strutture si ricompattino successivamente per divenire leva rigida atta alla propulsione.

Il nostro piede è come un lottatore di judo, che quando cade dissipa il trauma rotolando su più punti, e riducendo i picchi di carico dello stesso, per molte volte al giorno, per carichi che sappiamo essere maggiori nella corsa.

Quando la pronazione diventa un problema?

La pronazione è uno degli aspetti fondamentali di tale assorbimento dell’impatto, non certo l’unico, ma non per questo non necessario, nonostante venga spesso additato come causa delle più svariate patologie legate al piede, alla gamba e persino alla schiena.

Il problema si ha quando tale movimento diventa eccessivo riguardo all’angolo di eversione calcaneare, al parametro della velocità, alla sua durata non fisiologica, al timing non rispettato nella sincronia di attivazione muscolo-articolare della struttura podalica.

Al momento in cui si creano queste alterazioni della fisiologia articolare è necessario correre ai ripari, per evitare che una maggior richiesta contrattile, o una necessità di compensazione a carico della stessa struttura podalica o di altre sovrasegmentarie, vada a determinare un sovraccarico del sistema.

Come si risolve?

La risoluzione del problema, sia in termini preventivi sia sintomatici, passa dalla definizione della causa che l’ha determinata, grazie a una visita posturale, podologica e a un’analisi biomeccanica. Sulla base degli elementi rilevati si procederà all’approccio terapeutico conseguente, che può spesso limitarsi alla shoe-therapy, a una semplice correzione della soletta o alla prescrizione di un plantare, alla riprogrammazione posturale e muscolare del soggetto e a un running gait retraining, cioè ad allenamenti specifici per la corsa.